un blog che parla di niente

Categoria: apocalissi (Page 1 of 3)

voglia ella levarsi il tappo

Quella volta Belbo aveva perso il controllo. Almeno, come poteva perdere il controllo lui. Aveva atteso che Agliè fosse uscito e aveva detto tra i denti: “Ma gavte la nata.”
Lorenza, che stava ancora facendo gesti complici di allegrezza, gli aveva chiesto che cosa volesse dire.
“È torinese. Significa levati il tappo, ovvero, se preferisci, voglia ella levarsi il tappo. In presenza di persona altezzosa e impettita, la si suppone enfiata dalla propria immodestia, e parimenti si suppone che tale smodata autoconsiderazione tenga in vita il corpo dilatato solo in virtù di un tappo che, infilato nello sfintere, impedisca che tutta quella aerostatica dignità si dissolva, talché, invitando il soggetto a togliersi esso turacciolo, lo si condanna a perseguire il proprio irreversibile afflosciamento, non di rado accompagnato da sibilo acutissimo e riduzione del superstite involucro esterno a povera cosa, scarna immagine ed esangue fantasma della prisca maestà.”

lo ha scritto Umberto Eco, ne Il pendolo di Foucault

il medioevale che è in me

Ci son dei posti che sembran fatti apposta per risvegliare il medioevale che è in me. Son quelle vecchie chiese, millecento, milleduecentesche, scure, tutte fatte di mattoni e possibilmente non affrescate. Son quelle chiese dove venivano i monaci a pregare a notte fonda, al freddo, all’umido, magari cantavano quei canti gregoriani, m’ispira. Io quando entro in quei posti lì risveglio il medioevale che è in me, mi sento quasi teista, ma poi mi dico, ma cosa vado a pensare.

Domenica volevam andare in montagna, ma il tempo non era bello, siam andati a farci un giro in Certosa di Pesio. Là c’è la chiesa inferiore, mi piace tanto visitarla. Poi c’è la chiesa superiore, che è una chiesa normale, che sembra fatta apposta per sopire il teista che in me, è una chiesa normale.

Suona la campana, s’avvicina l’ora di messa. Polli io lo so che è una cosa che ogni tanto le fa piacere, ci fermiamo a messa? Ci fermiamo a messa.

Non vado volentieri a messa. Di solito mi faccio sangue cattivo. Vado solo se c’è qualcuno che ci tiene, se ci vado. I miei nonni ci tenevano, qualche amico a cui tengo ci tiene, e anche Polli qualche volta.

Una volta eravam in vacanza, stavamo visitando una chiesa, una chiesa normale, ma era retta dai domenicani o qualche ordine così, allora abbiam detto ci fermiamo a messa, ci siam fermati a messa, vediam come dicon messa i domenicani. Se vi dico mi è piaciuta non ci credete, io lo so, ma ve lo dico, mi è piaciuta.

La predica, totalmente diversa dal solito, filosofica, metafisica, cristologica, totalmente assente era il solito parlare del messaggio d’amore di Gesù Cristo. Non lo so se c’era qualcuno in quella chiesa che capiva quel che il prete (o frate, non lo so) diceva, sembrava che facesse una lezione universitaria di teologia a se stesso. A me è sembrata una cosa talmente folle che ne serbo un ottimo ricordo.

E allora da quella volta lì, quando siamo in posti diversi dal solito, mi lascio convincere, fermiamoci a messa.
Così domenica scorsa.

C’era poca gente, il prete m’ha subito sgamato che ero un miscredente. Ha fatto una predica che non dobbiamo farci abbindolare da quei libri nichilisti, quei buongiorno tristezza, quei propagatori di morte spirituale, di vuoto esistenziale travestiti da opera d’arte, io non ci ho fatto caso ma polli ha subito detto guarda che quella predica l’ha fatta apposta per te, che gli altri che c’erano in chiesa si vedeva era gente normale, te eri l’unico che ci voleva una predica così.

(Poi quando son andato a casa son subito dovuto andarmi a contemplare il blog di Cioran)

Subito dopo la messa siam sgusciati fuori dalla chiesa, Polli m’aveva messo in testa che il prete voleva arruolarmi in qualche esercizio spirituale, siam scappati a gambe levate, che io lo so come sono, non vorrei mica per spirito di contraddizione trasformarmi in un satanista.

Siam ancora passati dalla chiesa inferiore, e lì si è di nuovo risvegliato il medioevale che è in me.

Passiam per i chiostri, dentro una porta aperta, chissà cos’è, una cella, un ufficio, si vede qualche cosa. Mi blocco. La visione mi paralizza. È qualcosa di bellissimo, di ultraterreno, di mistico. Per un attimo penso d’aver visto il Messia. Dopo qualche lunghissimo secondo, me n’accorgo.
È solo uno specchio.

un’illuminazione improvvisa

stamattina ho avuto uno di quei momenti che i seguaci dello zen chiamano satori: un lampo improvviso di comprensione del mondo.
ero lì che son tornato alla macchina, dopo che è stata tutta la mattina parcheggiata in pieno sole, son entrato nella macchina e ho improvvisamente capito che cosa si prova, ad esser cremati.

ma cosa fai adesso che siamo tutti in pensiero

ho notato che qua tra gli assidui frequentatori di questo blog del pettine c’è una certa curiosità, che si è capito che lo faccio apposta, a non dire cosa faccio. ma voglio ricapitolare, per quelli che sono arrivati solo adesso, altrimenti non capiscono niente.
questo blog è nato a metà aprile duemilaquattro e si chiamava e io che mi pensavo che la vita del bancario erano tutti fiorellini. è nato su iobloggo.com e ci è stato fino alla fine di aprile duemilacinque, poi ho traslocato, senza perdere neanche un giorno, su diludovico.it. il tredici maggio duemilacinque ho cambiato il titolo del blog, che ora si chiama e io che mi pensavo che la vita del blogger erano tutti fiorellini, e ho pubblicato la lettera di dimissioni dalla banca. e da allora, un post sì e uno no, qualcuno mi ha chiesto ma cosa fai adesso che siamo tutti in pensiero non è che vai a stare sotto un ponte, e io in tutta risposta ho sempre menato il can per l’aia.
adesso, ho pensato, è magari venuto il momento di dirvi che cosa sto facendo.
non lo so, che cosa sto facendo.
che qua si avevano grandi idee.
non so se l’avete notato, che in occasione degli ultimi referendum sulla procreazione assistita c’è stato più impegno del solito, si son fatti post, s’è messo il banner e tutto quanto, l’avrete notato, se lo seguite assiduamente, questo blog del pettine.
l’avrete trovato strano, che s’è scomodato persino baruch spinoza, per perorare la causa.
avrete magari trovato strano, che il lunedì mattina dei referendum, alle sette, m’abbia chiamato vladimir per sapere dell’affluenza, magari non l’avete trovato strano, ma avreste dovuto.
che io e vladimir avevam avuto una grande idea. noi c’illudevamo, pensavamo d’abitare in un paese evoluto, pensavamo che magari l’italia fosse un paese più liberale della turchia (dove la legge sulla procreazione assistita è un po’ più avanti che in italia, l’avreste mai creduto?), noi sinceramente pensavamo che questi referendum passassero.
io con la mia esperienza bancaria, vladimir con le sue altre esperienze, noi c’avevamo, come si dice, un business plan.
volevamo aprire una banca del seme.
da esperti produttori, volevamo eterologare l’eterologabile.
poi, i referendum, sono andati come son andati, è andato tutto in pappa.
vorrà dire, mi riciclerò in un altro ufficio

mezzo metro più alto

uno quando è in pensione ha poco da fare, che era abituato a lavorare tutti i giorni otto, nove, dieci ore al giorno, e di colpo si ritrova a non aver niente da fare. uno in una posizione così, cos’è che fa, cos’è che può fare se non metter le braccia dietro la schiena, intrecciar le dita dietro il culo, e andare a vedere i cantieri, o gli operai dell’enel quando fanno i lavori?
io ieri ero lì che guardavo i tecnici della sirti che posavano il cavo per la mia nuova linea del telefono e chi ti vedo? un uomo anziano che spinge una carrozzina, è il preside di ragioneria quando facevo ragioneria, allora son andato, l’ho salutato, abbiam parlato un po’, del lavoro, della nonnità.
a me m’è venuto in mente di quando andavo a scuola, che delle volte c’eran delle ore buche, e veniva sempre qualche insegnante di qualche altra sezione a tenerci buoni. di solito non ci facevan far niente, ci dicevan studiate, ripassate la lezione per l’ora dopo, mentre loro insegnanti si facevano i cazzi loro.
delle volte veniva il preside, e anche se non avevam dietro i promessi sposi (nel biennio) o la divina commedia (nel triennio), lui ci faceva lezione su quello, a braccio, recitando passi lunghissimi a memoria.
noi questa cosa, noi ci sembrava che lui li sapesse tutti a memoria, quei libri lì, non lo sapevamo mica se era vero o no, ma a noi ci sembrava che lui li sapesse tutti a memoria, e questo fatto che lui sapeva i promessi sposi e la divina commedia a memoria a noi ci sembrava un fatto soprannaturale.
una volta che era venuto a coprire un’ora buca m’aveva fatto una domanda, io non mi ricordo come avevo risposto, ma m’aveva chiesto il nome e allora s’era ricordato di una poesia di taglio umoristico (eh, ovviamente) che avevo pubblicato sul giornale d’istituto l’anno prima. s’era ricordato, non vuol dire che si ricordava della poesia, ma si ricordava la poesia, se la ricordava tutta, parola per parola, e l’ha recitata in classe. poi s’è perso nei paragoni con ungaretti, ed io ero già mezzo metro più alto.
da allora, la mia stima nei confronti di quell’uomo, è altissima.

poi uno si chiede dove va la poesia contemporanea

dal milleottocentodicianove ne son passati di anni. ed è bello sapere che quasi due secoli non sono passati invano, che l’evoluzione della lingua ha portato ad una rivoluzione nella poesia, che ci son degli eredi che possono raccogliere il testimone lasciato dai grandi del passato. chiaro-scuro ha scritto trovato su un newsgroup (ma potrebbe essere come il manoscritto del manzoni) una poesia, che gronda del segno dei nostri tempi. si chiama

L’infinito

Mi fà minghia troppo godere questa collina deserta
e questa siepe, che non mi fà vedere
un tubo comunque, vabbhè, ormai sono quì.
Però, se stò seduto e guardo
mi immagino dei carinissimi silenzi
e una tranquillità mitica
e per poco, minghia, non sclero.
E se sento soffiare il vento tra queste foglie.
Io penso che il vento fà rumore
E invece io mi immaginavo che minghia era tutto zitto.
e penso a tutto il resto
tipo al passato
tipo al presente inzomma l’attimino dove minghia cioè inzomma stò qua.
E sono tutto intrippato e minghia stò sdando
minghia è troppo figo domani ci torno.

legàmi

io lo so già quel che si sta dicendo, che in quattro giorni s’è postata una canzone e due citazioni di libri, che qua le idee làtitano, in questo blog che era giallo e scintillante, e adesso è giallo e melmoso. non serve che me lo dite che me ne sono accorto da solo, che tre cose non mie, anzi quattro, con la pioggia nel divieto, in quattro giorni son veramente troppe, che possono ingenerar sospetti sulla floridità della mia vena, mi son detto, adesso mi metto alla sbarra da solo e mi difendo, vostro onore. che ve lo dico, vostro onore, non è che qui son pagato per scrivere una cosa al giorno allora devo trovare per forza qualcosa da scrivere, non è mica per quello, non mi pagano mica, io lo faccio per piacere. io lo so che ci sono dei blog, specie quelli un po’ adolescenziali, che delle volte non san bene cosa mettere allora adesso vi faccio ascoltare questa canzone che ho sentito stamattina che mi ha messo veramente di buon umore è Love will tear us apart dei Joy Division, e poi tutto il testo della canzone, che uno se la deve leggere tutta come se l’ascoltasse, neanche fosse una radio. No, vostro onore, noi qua si cerca di fare un discorso sulla vita sul lavoro sulla letteratura sul mondo che ci circonda, è un discorso un po’ così, un po’ sbilenco e ballerino, e ci son delle cose, là fuori, che ci stan anche bene in questo discorso, son delle cose che dan validità al discorso, provenendo da fonti autorevoli (qualcuno obietterà che Tramutoli non è fonte autorevole, essendo il libro di cui si parla un romanzo prevalentemente segaiolo). che un ipotetico lettore modello, cioè me stesso, vostro onore, li coglie, questi frammenti apparentemente slegati di discorso, gli vengono in mente dei legàmi, delle connessioni, che qua, quel che state vedendo, vostro onore, è il farsi di un nuovo tipo di romanzo, che non ha inizio, non ha fine, non ha centro, ma ha un numero illimitato di connessioni, non è un albero, è un rizoma. mica merda, eh? chiamatemi tristram.

una sana e onesta disoccupazione

oggi sono ufficialmente disoccupato. sebbene abbia finito di lavorare nella banca venerdì scorso, sono decaduto ieri, mercoledì quindici giugno duemilacinque. ora mi trovo in un periodo di transizione. potrei anche star lì a scrivere tutto il giorno, ma non mi viene in mente niente, mi sa che c’ho lo spleen da cazzeggio. c’è qualcosa che mi manca, ma non so che cosa sia. non è il lavoro, se mi mancasse il lavoro dopo tutto lo sforzo per affrancarmi, sarebbe una disfatta. in ogni caso, c’è qualcosa, del lavoro, che mi manca. è la pausa caffè.

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