un blog che parla di niente

Poesia dell’oscuro scrutare

A volte vorrei
vedermi
quando non mi vede nessuno
quando sono da solo
quando sono lì
in cucina
che faccio le cose
che sistemo
che scrivo
che penso
(a volte penso)

vedere
che facce faccio
come mi muovo

ma poi penso
che vedermi
o meglio
sapere che mi vedo
cambierebbe
il mio modo di comportarmi
di agire
cambierebbe
le mie espressioni

l’altra mattina
ero lì
vicino alla finestra
che bevevo il caffè
mi son scoperto
che sorridevo

18 Comments

  1. SpeakerMuto

    Quand’ero più giovane, le volte che mi innamoravo, mi guardavo da fuori chiedendomi come mi avrebbe visto lei; avrei voluto mi vedesse nei momenti in cui ero orgoglioso di me.

  2. hgf

    è più poetico il commento qua sopra del post

  3. Simone che scrive su "purtroppo"

    Ma questa poesia dovresti scriverla. Oppure dettartela quando sei fuori.

  4. Clod

    Io l’ho trovata stupenda.

  5. silvia

    hai copiato da Vitangelo Moscarda!

  6. melusina

    Beh, non è la Szymborska ma quasi.

  7. Frator

    …Felicità dello scrivere.
    Possibilità di perdurare.
    Vendetta di una mano mortale.

    Questa è la Szymborska,bene,
    ma anche tu non sei male.

  8. Zerodx

    Pensavo che se tu morissi, sicuramente tutti studierebbero le tue poesie a scuola. Però se morissi non ne scriveresti più, e a noi toccherebbe leggere sempre le stesse. Quindi fai come ti pare, vedi tu.

  9. anna

    Qualche volta potresti osare. Potresti scoprire che, quando ti guardi, sei esattamente come quando non ti guardi e fai le stesse cose nella stessa cucina, con le stesse espressioni, con le stesse emozioni. Allora potresti dire: “Eìo, in questo mondo che va a puttane, sei il solo a essere come quando non ti guardi, come quando nessuno ti guarda”. E ti daresti da solo il Premio alla Coerenza. E non avresti secondi e terzi da premiare.
    Se non osi, queste belle cose non accadranno mai.

  10. Lucia

    Io quando penso a qualcosa del passato mi vedo sempre da fuori, come se i ricordi non si potessero più vivere davvero. Che cosa triste, tra l’altro.

  11. transit

    l’altra mattina
    ero lì
    vicino all’albero
    che bevevo il caffè
    mi sono scoperto
    che senza vedere
    guardavo

    Prima Parte

    La vita è tutta intorno.
    Spunta da tutte le parti come il vento come il grano come l’aria. Ed è logico che faccia ammuina, la vita. E per quanto tu o chicchessia volete tenerla a freno o stutarla un po’, giusto per riposare o fare due conti, ricaricarti e goderla di più, la vita tiene l’arteteca; sboccia come i fiori in primavera o le nuvole gonfie e cariche nei mesi delle piogge, frenetica scorre, scorre come un fiume in piena.

    ho visto i bambini nel tempo slabbrato da tutte le parti,
    perciò finito in uno spazio largo e lungo senza orizzonte.
    bambini privi di coniugazione dei verbi il tempo a scalare.

    I bambini sono la vita che non si ferma mai. I bambini sono come gli uccelli e le foglie, sono attaccati agli alberi e non ne vogliono sapere di andare via, almeno finché vivono.
    Perché si sa che certi bambini, più di altri, anche loro attaccatissimi ai rami e alle radici degli alberi legatissimi ai rami e alle radici degli alberi, muoiono come quelle mosche che spesso volano intorno ai loro occhi, bocca e labbra.

    Certi bambini hanno sete e a loro è negata anche l’acqua. Sappiamo che le mosche hanno sempre interesse a ronzare attorno e sopra e dentro i loro corpi indifesi come tutti i cuccioli della terra.
    Questi bambini pagano con la loro vita; la vita che deve andare così come se fosse stata scritta in un libro importante che nessuno può cambiare né riscrivere. Ci sono libri in quantità industriale che l’industria sforna ogni giorno, ma ci sono libri che mai nessuno di questi bambini scriverà, nemmeno quello che ce l’ha fatta a non morire di sete di fame di miseria e povertà. Soltanto i bambini però potranno scrivere di quel libro in cui gli adulti hanno dimenticato il dolore, la privazione e la sofferenza che quasi sempre alimenterà l’odio e ancor più indifferenza.

    Io sono il fratello di uno di questi bambini. I miei fratelli piccoli sono morti tutti. Solo il ricordo li tiene in vita. Io sono uno di quelli, e ho anche un nome, che ha capito come fare a non morire. Io odio la morte, a me la morte mi fa schifo. Io vivo insieme alla morte, ma non ho paura di lei. Odio e schifo la morte. Anzi, proprio per questo, ogni giorno e ogni ora, sfido la morte.

    Ho usato le mie lacrime, la malinconia del mare e quella delle lande desolate, i miei occhi sorridenti e in certi momenti lo sguardo intenso da rasentare la condizione surreale delle macerie umane. E anche il mio sorriso superstite, l’agonia dei giorni a seguire e la mia voglia di giocare.

    Giocavo, piangevo e mangiavo.

    E senza saperlo ho imparato la guerra nel prendermi più di chiunque altro bambino quel poco che arrivava dalla nostra terra e l’altrui benevole carità.

  12. transit

    Seconda Parte

    Ho capito che se voglio continuare a giocare, perché a me piace soltanto giocare insieme agli altri bambini, dovevo mangiare, mangiare più di quanto arrivava, ma dovevo prendermelo dagli altri bambini. Quello che arrivava quando arrivava era sempre poco. Certo non lo facevo in maniera esagerata, ma se su dieci o venti o trenta prendi un boccone da ognuno, il gioco è fatto. Perciò ho imparato a fregare le mosche. E le mosche ti fanno capire sempre chi è il più debole. Le mosche volano sulla merda e sul corpo del più debole; il debole, quello che non mangia piace alle mosche.

    Io ho preso più bocconi e acqua ai miei fratelli e ai miei amici. Qui, fratelli, sorelle e amici sono molti, proprio come le mosche. Le mosche ronzano, scappano, poi si appoggiano dove c’è da mangiare.

    La vita è bella, ma non per tutti. La vita è una giungla anche sull’asfalto, i palazzoni e lo squallore.
    A me mi piace giocare e inventare i giochi; mi piace fare il vento di terra, andare in bicicletta e giocare a pallone e nei contrasti sono leale e feroce e, se spacco una gamba a un avversario non è colpa mia, vuol dire che le mie ossa sono forti perché ho mangiato e gli altri no. Il pallone me lo porto a letto e quando esco fuori è sempre tra i miei piedi, ma ci sono miei amici, piccoli quanto me che imbracciano fucile, pistola e mitraglia.

    Adesso devo andare.
    Sono venuti a chiamarmi fuori dalla porta della capanna e dal basso e qualcuno, ridendo, dice:
    – La capanna dello zio Tom –
    -Esci – gridano.
    -Andiamo a giocare –
    E quando giochiamo dimentichiamo i morsi della fame. E’ di sera e di notte che molti di noi, anche se stanchi per quel che abbiamo combinato tutto il giorno, che i nostri padri non fanno ritorno a casa e scappano. O vanno dietro un’altra donna, si ubriacano, si ubriacano per dimenticare se stessi e la propria vigliaccheria e sofferenza. E in mancanza di vino e altro, dormono e non li sveglia né il rumore delle armi né il ruggito del leone né l’aggirarsi famelico delle iene e il rombo dei motori.

    I nostri padri, quando non dormono e non sono travolti dal dolore, si tappano le orecchie con la cera o la resina. A noi ci stringono, ci riempiono di carezze e piangono nel buio del silenzio le nostre mamme con le zizze secche e senza più latte. Ci attacchiamo al ricordo e succhiamo; succhiamo, mentre molti di noi, ma anche molte di loro, se non ci hanno abbandonate per la disperazione e la follia, muoiono con le carezze del calore e i capezzoli in bocca.
    Anche le nostre mamme erano le bambine di altre mamme legate da carezze e capezzoli. Troppo presto sognati. E perduti.

  13. gnomicanarini

    transit, perche` non ti apri un blog?

  14. AB

    Il caffè è un piacere, se non è buono, che piacere è?

  15. transit

    L’altra notte
    ero lì
    nel caveau dell’anima
    che asciugavo sfoglie di cipolla
    mi son scoperto
    che scavando il tuorlo delle nuvole
    scandagliavo ai quattro lati
    chiazze di pavone, mentre
    la giovane commessa prometteva,
    ho ascoltato Dino Campana
    dal sottosuolo soffiare:

    Il cielo è composto sempre
    da due cieli:
    il cielo cielo oggettivo
    e il cielo soggettivo
    a nostra immagine e somiglianza
    tra esaltazione e depressione;
    la luce della notte
    e il buio del sole.
    Per cui sei.
    E, inevitabilmente,
    siamo.
    Il cielo, pertanto,
    non è soltanto un momento,
    un giorno, un periodo,
    qualche anno tessuto
    di pezze a colori.
    Il cielo è il tempo
    che scorre
    di acqua interiore
    le metamorfosi,
    rocce di scarabeo.

  16. anna

    Mannaggia, gnomicarini mi ha rubato le parole di bocca. Transit, DEVI aprire un blog.

  17. transit

    L’altra sera
    ero lì

    e di nascosto,

    timoroso spiavo
    l’ombra sua del cuore.

    Silente,
    l’ombra s’attarda;

    baci sdadati
    ricama;

    salini slanci
    aggruma.

    flettendo l’anima
    di lato, senza

    ragione, le ho
    sussurrato: Addio

  18. Emix

    evidentemente il tuo caffè è più buono del mio. Al massimo io scappo al cesso, altro che sorrisi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

© 2024 e io che mi pensavo

Theme by Anders NorenUp ↑