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Sulle tragedie

Quand’è morta mia nonna, son stato un giorno intero in camera mortuaria, all’ospedale, facevo le medie, mi ricordo che in quei giorni dovevo studiare a memoria A Silvia, la poesia, una poesia che non ho mai imparato, né allora né dopo, mi ricordo soltanto un verso, E quinci il mar da lungi, ed ero lì, nella camera mortuaria, che non mi capacitavo che era morta mia nonna. Non sto a farla lunga, ma i miei lavoravano, io buona parte della mia vita, fino ad allora, l’avevo passata coi nonni. Porca vacca, era morta mia nonna. E stavo lì che non mi capacitavo. La gente muore. Anche quella a cui vuoi più bene. L’ho già scritto una volta, ma mi vien da riscriverlo. Stavo lì nell’ingresso, dove da un lato c’era la porta della sala d’aspetto, e dall’altro il corridoio che portava alle sale mortuarie. Davanti alla porta d’ingresso c’era una vetrata, e al di là del vetro stava un inserviente. Mi annoiavo, un po’ leggevo, un po’ guardavo quel che c’era, quel che succedeva. Succedeva poco. Mi ricordo di un momento in cui avevano chiamato l’inserviente, l’avevo visto mettersi il camice e i guanti di lattice, l’avevo sentito parlare, avevo capito che da sopra, dall’ospedale, era arrivato un morto, e bisognava vestirlo e metterlo nella cassa. Avevo sentito armeggiare, avevo provato a guardare, ma la porta era chiusa, l’avevo visto uscire e poi rientrare, e poi l’avevo visto rientrare al suo posto, al di là della vetrata. Che lavoro, pensavo. Chissà come si fa ad abituarsi. Al di là del vetro, l’avevo visto togliersi il camice e i guanti, poi l’avevo visto chinarsi per cercar qualcosa, poi si era rialzato in piedi e ho visto che si stava mangiando un bel panino al prosciutto.

C’era un filosofo, forse il più grande dei nostri tempi, un filosofo che si chiama Learco Pignagnoli, che aveva scritto “Se non c’è niente da ridere vuol dire che non c’è niente di tragico, e se non c’è niente di tragico, che valore vuoi che abbia”, e io, da quando ho letto questa frase per la prima volta, mi son messo a riflettere sul mio approccio alle tragedie, collettive o personali, e mi son reso conto che anche nel momento peggiore, nel momento in cui sono addolorato o addirittura disperato, gattini.

20 Comments

  1. Heinz

    Non ci crederai, ma il 14 ho un esame di Etica con un programma relativo alla prospettiva tragica e i gattini, “Da Pignagnoli ai nostri tempi, l’incidenza del piccolo felino nel cordoglio quotidiano”. Ma, anche senza questo esame, certe cose le si capiscono lo stesso, prima o poi.

  2. TheAubergine

    No, vabbè, hai vinto su tutta la linea.

  3. cq

    Se lo stessi portando, mi toglierei il cappello!

  4. antonio

    ha ragione learco

  5. IlBabau

    Ma per chi non ha studiato, “gattini” che vuol dire?

  6. Mauro

    Mi associo alla domanda di IlBabau

  7. zerodx

    Anch’io, che con gattini mi viene in mente solo Elio.

  8. eio

    tipo animaletti pelosi di dubbia utilità. solo quello.

  9. Heinz

    (utilizzati talvolta anche come segnalibro)

  10. Gianni

    Vivere, con l’aria che tira, diventa sempre meno divertente.
    Mi ritorna in mente l’immagine di quelli che, dopo una giornat di duro lavoro al mattatoio, tornano a casa stanchi e giocano con i loro bambini, mangiano la loro bistecchina, accarezzano i loro gattini, piangono per lo scudetto della squadra del cuore, mandano con 1 sms due euro per il terremoto, 1 euro per la ricerca, 10 euro per telethon, 1 euro di mancia a quello delle consegne, 2 euro al cameriere, 1 euro in chiesa, qualche centesino ai tanti poveretti che chiedono l’elemonina.
    E’un mattatoio pubblico la mia città!

  11. Frator

    “Occorre un’immensa umiltà per morire…”(Cioran) la stessa umiltà occorre per riandare a riesumare Pignagnoli e rendergli giustizia con una frase ad effetto degna del migliore Schopenhauer e scusa se è poco!
    Più che gattini io ci metterei grattini visto che si parla di defunti!!

  12. WonderDida

    Gattini. oltre a Elio, mi viene in mente heidi che mostra una cucciolata alla Signora Rottenmeier. *Cucù, gattini*
    son ricordi, eh.

  13. disma

    🙂 mi mandi a letto con un bel sorriso

  14. luce

    bello,bello.

  15. silvia

    gattini sta per … ??

  16. Ellamoon

    Va’ che quella storia lì dei gattini non s’é ben capita. Ora si, ma prima no.

  17. Anna

    no ma dài, ma come non l’avete capita?
    era come una linguaccia!
    uno si aspettava una grande rivelazione e “prrr”!!
    è stata una chiusa strepitosa.
    diamogli un po’ di soddisfazioni sennò …ma che ce lo dice a fare? E se poi smette? no eh!

  18. simona

    Nel mio paese, gattìni è la seconda persona singolare indicativo presente (io gattìno, tu gattìni)per indicare qualcuno che sbocca. Nel senso di qualcuno che non riesce più a trattenere cose nello stomaco, solitamente dopo avere bevuto quindici tequila.
    So che non è bello, ma a questo ho pensato.
    E ho pensato anche: mi spiace che abbia gattinàto

    🙁

  19. milo

    Qualche mese fa ti avrei detto che avevate ragione, tu e Pignagnoli. Ora ti posso garantire che il fa ridere/non fa ridere *non* è un buon criterio per stabilire il “valore” (qualunque cosa sia) di una tragedia.
    Credimi.

  20. memorino

    Su facebook c’è un gruppo pregno di contenuti filosofici e anche di disegni molto belli e colorati, si chiama “animali filosofici molto belli e colorati”, ve lo consiglio. Comunque quello che volevo dire è che all’interno si trovano le sentenze del gattino Marvin Baffomatto, di cui stupisce l’ampiezza di vedute e la profondità, paragonabili a quelle del Learco Pignagnoli. Una in particolare che mi ha stupito e si lega alla riflessione sulla vita come commedia/tragedia è:
    “spesso chi ride non è triste come appare”, il fatto che sia un gattino a dirlo credo che chiuda il cerchio.

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